La selva fa paura. Il muro ci consola nel tentativo di ordinare. Un sollievo che si fa chiamare casa. Il controllo ha il suo prezzo e ci fa chinare il capo. Giù. Arriva sempre il punto in cui gli occhi non bastano. Mi fido ci sia il cielo sopra le foglie, senza le mie pupille a guardarlo. O mi fido ci sia un tavolo a vedere per me. Qualcosa continua e io mi ci aggrappo.
Mi aspettavo qualcosa di diverso prima che accadesse. Sarà sempre un'altra cosa. Due tempi che non posso vivere sulla stessa strada. Cammino per l’incontro con il presente. Come fumo si dilegua al primo pensiero e i passi riprendono. Passato e futuro continuano ognuno per la propria via, fino al prossimo ritorno.
Mi dispongo sul filo della conoscenza e dimentico la dissolvenza di cui sono fatto. Eppure senza quel filo non vedrei nemmeno la mia proporzione nell’infinito. Non sono io la forma e non sono io lo spazio. Sono io quello che c’è tra loro - un allineamento e un disallineamento. L’occhio si apre e l’occhio si chiude.
Come un eco, continua a ritornare. In sogno, oppure in mezzo alla gente. Lavoro, cene di compleanni, aperitivi di fine stagione. Torna anche quando siamo soli io e te nella stanza, o quando non ci sei. Torna quando vuole. E’ lì che vado appena smetti di guardarmi. E’ diventato un appuntamento, addirittura sperato. Quanto tempo perché riuscissi ad ammirarlo nella sua libertà. Oggi è forse più lo stupore, che non la paura. Eppure quando si avvicina scappiamo entrambi. Non siamo ancora pronti a fidarci l’uno dell’altro. Io ritorno a te, sulle mie gambe. Lui ritorna dove nulla è definito. Ritornerà anche l’incontro, come un eco.