
#52

Un istante che dura da sempre: camminavo sperando che qualcosa capitasse, senza mai giungere. Come sarebbe potuto essere diversamente? Questa domanda allunga la vita, pericolosamente per sempre. Tanti volti, macchie color convinzione, annunciano verità. Ognuno la sua. Ognuno sa. Inizio a camminare, la città di notte è sveglia. Un vicolo, il buio aperto, la luce chiusa. Il patetico coraggio di dire - no, ma grazie. Il patetico coraggio di dire - sì, ma vaffanculo. La verità gode nell’essere posseduta. Contatti, contagi e scambi. Mi sento meno perso ma molto più instabile, nella via della scelta.
Siamo nati orfani. Apriamo gli occhi per guardare alberi e mari, monti e mani, fiumi e ali, volti e angeli. Vederli lontani per chiamarli estranei. Siamo nati disperati, forestieri nella natura stranieri alla natura. Soli, cerchiamo il figlio da restituire ai genitori. L’incontro è un contagio: il respiro più profondo segue il pugno cha ha tolto il fiato. La natura è uno scambio: mi parla, mi richiama mi spaventa, le scappo le sussurro, la cerco. Il suo incontro era in me, le appartengo e mi appartiene. Il ritorno è nell’ascolto, primitivo nello scuro della terra, nel cullare uterino. Nel tornare a casa, apro le finestre sotto lo zerbino. Entra il sole da fuori, fra le fronde apre occhi freschi da dentro, qualcosa inizia; porta il nuovo abito preludio allo sguardo. Non sono più solo, lei era genuflessa nell’attesa di una nuova vestizione. Rinasciamo, accuditi.
Il mondo cede. Provo a tenermi all’ultimo baluardo: vederti accudito nell’acqua che apro e chiudo. Prima che apri gli occhi, prima del sottosopra, prima del temporale: lo vedi, lo senti, arriva. Il peso dell’aggrapparmi, mia illusione di sostenere. Io ora inizio a cedere molto prima del mondo, molto prima della natura che si svela, feroce. E’ il momento che tu decida di quale acqua bagnarti. L’acqua che non puoi controllare: uccidi l’instabilità, nasci nell’imprevedibilità. Puoi, devi andare.